Un passo senza piedi

Un film speso per dirci che l'amore, quello vero profondo,
quello che avvicina le persone tanto da riuscire a parlare anche nel silenzio,
tanto da sentire l'esistenza dell'altro in trasparenza, al di là di pianure
mari e pareti rocciose, questo amore esiste ma è impossibile da vivere.
"Dove non ho mai abitato", con la regia di Paolo Franchi,
parla dell'infelicità, delle possibilità mancate, della rinuncia, del non detto
e, infine, del non vissuto.
Il titolo è molto bello, uno di quelli che predispongono
bene i sensi e la postura del corpo. Fa pensare a luoghi fisici e luoghi
dell'anima, alla mistura dei due, a qualcosa di lieve e inatteso insieme.
In effetti, in questo film se ne vedono di luoghi e
bellissimi. C'è una Torino luccicante, piena di angoli, incroci, piazze squadrate
e pioggia, una dolce pioggia fine che illumina, amplifica tutto e segue gli
umori, il respiro dei corpi. Ci sono case magnifiche viste da fuori, esplorate
da dentro, antiche e colme di vita già vissuta e altre in divenire, ancora da
vivere. Tutto questo cadenza la storia, anzi, in fondo è la sostanza della
storia.
Tutto ruota però intorno a un senso di inutilità. Una donna,
Francesca, figlia di un grande architetto di fama. Un uomo, Massimo, architetto
anche lui, erede del genio indiscusso. I personaggi si muovono in un mondo
bellissimo, dove trionfa il bello, l'estetica delle cose. Case belle, vite più
che agiate, corpi belli, voci e movimenti eleganti e raffinati. In questa
grazia trionfa anche l'incompiutezza delle esistenze di tutti. Francesca vive in Francia, sposata ad un genio dell'alta
finanza e madre di un'adolescente, è infelice, silenziosa, lieve ed è un
architetto mancato. Massimo è bravo, in carriera ma non spudoratamente
ambizioso, venera il suo mentore, ha una compagna con la quale divide una vita
libera, ognuno ha la sua e va bene così. Manfredi è il
padre-architetto-mentore, ha solo la figlia e, per il poco che la vede, passa
il tempo a criticare la sua vita, le sue scelte, la fuga di cui l'accusa
costantemente. In questa atmosfera rassicurante Francesca e Massimo si
fiutano e riconoscono in una progressione che ha il suo fascino - tanto, in
verità - e che allarga l'orizzonte, lo dilata all'estremo e poi,
all'improvviso, lo chiude. Sullo sfondo si muovono tutti gli altri. Benoît, marito di Francesca
che lei evidentemente sopporta male; Sandra, compagna di Massimo, innamorata e
disinvolta, praticamente la donna ideale che non crea disordine ma che,
ovviamente, quando sente di perderlo si spaventa e soffre; Manfredi, un cane
sciolto e ruvido profondamente innamorato della figlia.
Cos'è esattamente che impedisce ai protagonisti di vivere
quello che sentono? Cosa gli impedisce di provare ad essere felici? Non è mica
detto che debbano riuscirci, per carità, ma almeno provarci. La paura di cambiare, di spostare le esistenze degli altri,
la propria. Il film fa esattamente questa parabola. E non ci prova nemmeno ad
andare nei territori del possibile, in un paesaggio poco scontato, un minimo
inaspettato. I personaggi, la storia, le vite non corrono alcun rischio. Si
dipanano all'ombra delle regole stabilite: la frustrazione e il sogno
impossibile, il desiderio e l'ineluttabile. Per dirci che è meglio il quieto
vivere e una tranquilla infelicità diffusa e condivisa, piuttosto di una
rivoluzione che rompa gli equilibri e metta tutti alla prova. Non lo sapevamo
già?
Sarà che credo fermamente nell'amore, sarà che difendo il
diritto a viverlo, come condizione necessaria alla serenità del mondo, sarà che
ci sono passi da compiere senza piedi: "Questo è l'amore / volare a un cielo
segreto / ad ogni momento lasciar cadere cento veli / prima liberare la vita /
infine fare un passo senza piedi" (Gialal al-Din Rumi).
Annotazioni: il film risente della recitazione un po' strutturata degli attori, bravi non c'è che dire sia Fabrizio Gifuni che Emmanuelle Devos, ma condizionati da personaggi trattenuti all'eccesso. Gialal al-Din Rumi è un poeta persiano del Duecento, è stato un viaggiatore e un mistico.
Sul film "Dove non ho mai abitato" di Paolo Franchi
pubblicato su remweb.it il 17 ottobre 2017