Un dolore antico e la solitudine di un uomo. The Insult e Zama a Venezia

Venezia trabocca di titoli. È come una tavola imbandita con
cibi e bevande di tutti i tipi. Lo sguardo cade su ogni cosa e ci vogliono
occhi grandi e orecchie grandi. Ci vogliono tempo, calma e un pensiero che faccia
da filo d'argento in questi giorni di festival. Ci sono film annunciati e
avviati verso una distribuzione sicura nelle sale, alcuni già nei prossimi
giorni. Il tempo per parlarne ci sarà. E poi c'è l'universo dei film che forse
usciranno o forse no. Magari sono capolavori e trionferanno, oppure non
lasceranno traccia. Difficile dirlo. Qualunque sia il loro destino, è
di questi che vorrei parlare.
Toni è un meccanico, cristiano libanese che vive a Beirut.
Yasser è un operaio, lavora per una ditta edile ed è un profugo palestinese. I
loro destini si incrociano e si aggrovigliano per una questione di grondaie,
nulla di apparentemente importante che però finisce per portarli
lontano, verso guerre e dolori profondi.
"The Insult" è in concorso nella sezione principale, Venezia
74, ed è un film luminosissimo, come le case di Beirut sotto il sole del
Libano. Il regista Ziad Doueiri (nella foto di copertina), a lungo assistente
di Quentin Tarantino, si è già fatto notare con "West Beirut" (1998) e poi con
altre pellicole e una serie televisiva.
Apparentemente per sbaglio, Toni rovescia acqua sporca sulla
testa di Yasser, che reagisce male e lo insulta. Nasce una lite furiosa. Toni
vuole le scuse di Yasser, ma lui tace. Toni furibondo si scaglia contro il
popolo palestinese, invocando lo sterminio. A quel punto Yasser lo colpisce
fratturandogli due costole. Finiscono in tribunale. Yasser ammette l'insulto ma
non si scusa e si rifiuta di dire perché ha colpito Toni. Intorno a loro una
città congestionata e abbacinata dal sole e un mondo che si divide in due.
Ognuna delle parti si sente vittima e carnefice. E come tale
rivendica dei diritti. Toni li grida e li pretende con tutto il fiato che ha,
Yasser tace ma non si sposta di un passo. La questione supera i confini delle
grondaie, del palazzo in ristrutturazione, del quartiere e della città intera.
Diventa la questione di un intero Paese e di due popoli. Entrano in campo i
diritti, la dignità, la religione e la politica. Ogni cosa si mescola e in
tutto questo Toni e Yasser ci appaiono sempre più soli, immersi in un dolore
profondo e senza vie d'uscita.
Questa non è solo una storia intensa, è anche una storia
raccontata bene. La mano del regista è disinvolta, il suo sguardo attento e
pronto a cogliere e restituire dettagli. I personaggi sono raccontati
attraverso inquadrature ravvicinate ma colme di delicatezza. La città è colta
nel suo splendore caotico, è fragile, contraddittoria, bellissima, anche questo
grazie alle inquadrature. Il dolore, la rabbia, l'umanità delle persone e dei
luoghi sono figure precise, delineate come tratti di matita su un foglio
bianco. A questo film c'è da augurare un lungo e felice viaggio nel mondo.

Lucrecia Martel è una regista argentina. Per il suo film "Zama"
si è ispirata all'omonimo romanzo dello scrittore Antonio Di Benedetto
pubblicato nel 1956. Un romanzo storico, ambientato in Paraguay nel XVIII
secolo, che racconta le vicende dell'ufficiale della Corona Spagnola Don Diego
de Zama. Il film è stato presentato alla Mostra fuori concorso.
Zama è relegato da anni in un punto sperduto dell'America
Latina, è lontano dalla sua famiglia, ha chiesto di essere trasferito ma ogni
suo tentativo cade inevitabilmente nel vuoto. Don Diego è solo, ha un passato
eroico ma è una figura dimenticata da dio e dagli uomini. Vive nella speranza
che ogni governatore che passa di là, scriva per lui una lettera al re. E
attende una risposta, anche se passano gli anni, anche se è sempre più solo e
malato, lui aspetta e guarda la sponda del fiume che lo separa dal resto del
mondo.
Si narra di una specie di pesci che vivono nell'acqua, non
possono fare a meno dell'acqua, ma si affannano ad ogni istante perché
l'elemento che li contiene e gli dà la vita, allo stesso tempo li respinge e
loro devono lottare per restare immersi. È per questo che non li troveremo mai
al centro del fiume ma sempre ai margini, vicino alle sponde, in bilico tra la
vita e la morte. Zama è lì su quel confine.
Probabilmente il romanzo è avvincente e malinconico come
tanta letteratura latinoamericana. Il film però appare sconnesso, a tratti
confuso. Ha un preciso e voluto taglio visionario, questo sì: Zama e tutte le
figure che ruotano intorno a lui sono personaggi trasognati, vivono prigionieri
di una terra ostile, ingrata, dura e sembrano destinati tutti a sublimare il
disagio, la lontananza, una malinconia profonda. Però la narrazione tende a
perdersi per una eccessiva inconsistenza. Forse l'unica cosa che tiene
veramente lo sguardo incollato allo schermo è la crudezza dei corpi, il loro
malessere in un paesaggio ostile, come l'acqua che spinge quei pesci ai margini
del fiume.
Esplorando i film in mostra a Venezia 74
pubblicato su remweb.it il 2 settembre 2017