Napoli misteriosa sacra e profana

"Napoli velata" inizia con la "figliata dei femminielli", un
colpo d'occhio sulla città e l'amplesso di due corpi lisci belli compenetrati
di armonia e desiderio. Una successione serrata ma calibrata in un tempo
preciso, un tempo giusto fatto per assaporare ogni singolo movimento.
È un film strano che in certi momenti sfugge e stai lì
disorientato a chiederti dove sei e a fare cosa. Ma poi il giramento di capo
che ti coglie trova un ritmo, un luogo, uno spazio. Trova Napoli.
È come l'esplorazione di una caverna. Scendi giù, vai sempre
più a fondo e più ti addentri più perdi l'orientamento. Non sai da dove sei
venuto, cos'hai davanti e cosa ti circonda esattamente. Ma sei protetto in una
cattedrale di bellezza silenzio mistero. E qualunque cosa accada, puoi solo
andare avanti.
Questa è la Napoli che Ferzan Ozpetek sembra mostrare. Una
città velata, sfuggente, profonda, sacra e profana, soprattutto profana. E poi
corposa, densa, gravida, ricolma di connessioni. Teatrale, piena di maschere.
Ancora, e più che mai, barocca.
La sensazione più forte è che, al di là della storia
nebbiosa e a tinte noir che il regista tratteggia, soprattutto il film racconti
Napoli. Un modo di guardarla, attraversarla, accarezzarla. E lo fa con la
potenza dell'amplesso iniziale. Un bellissimo groviglio di corpi che non incute
pudore, non lascia rossore sul viso, non distoglie lo sguardo. Anzi, gli occhi
si riempiono di quei movimenti come a seguire una danza, scoprire i dettagli di
un'opera d'arte, gustare con tutti i sensi la bellezza.
La trama è complessa, a tratti confusa, non tutto sta al suo
posto, alcune figure sono poco efficaci, altre del tutto inutili. Il filo parte
dall'attrazione fatale tra un uomo e una donna, passa per un omicidio e si
addentra nei cunicoli di un passato rimosso. Lo fa costringendo i personaggi a
confrontarsi continuamente con le zone più nascoste della città. Non solo i
luoghi fisici, soprattutto quelli simbolici, ancestrali, ancora una volta sacri
e profani: i numeri, i fantasmi, i santi e le santone, la morte, la malvagità e
la sfortuna, il dramma e la risata, rimedio universale, panacea per tutti i
mali.
Mi sorprende questo film così fitto. Ozpetek ci ha abituato
a diversi registri, ma le sue ultime storie sono andate un po' fuori sincrono.
Invece con "Napoli velata" ritrovo i cardini del suo raccontare: l'armonia tra
i luoghi e i personaggi, una sensualità che parte da lontano e mostra la
stratificazione di popoli culture identità. Soprattutto ritrovo la coralità,
così nelle corde di questo autore. La capacità di far vibrare gli attori
all'unisono come tanti strumenti che fremono in un tempo perfetto e che si
rincorrono armonicamente.
C'è qualcosa di speciale che lega Ozpetek e Giovanna
Mezzogiorno. Con lui l'attrice tira fuori una profondità e una bellezza che
tolgono il fiato - era lei ne "La finestra di fronte", bello tutto dal titolo
in giù. Intorno il coro, meraviglioso: Peppe Barra icona della canzone e del
teatro napoletani; Anna Bonaiuto straordinaria a teatro e in tanti film, su
tutti il delicato e duro "L'amore molesto"; Lina Sastri anche lei un pezzo di
teatro; e ancora Maria Luisa Santella nel ruolo di Donna Assunta, la santona da
cui vanno in processione tutti quelli che vogliono un miracolo un'illuminazione
una luce che li guidi, in lei si concentra il mistero più profondo di Napoli,
il suo incanto.
Dalla caverna infine si esce. Provati ma come rinati. Un
nuovo parto, un ritorno alla vita cedendo all'inevitabile destino di non
svelare completamente il mistero intorno a noi.
Perché, attraversando la caverna e uscendone, la strada non
è tutta piastrellata di giallo come nel "Mago di Oz". Alcuni tratti si perdono,
certi istanti si dimenticano, molti passaggi restano indecifrabili. Ma poi,
fuori, il colpo di luce è intenso e scalda corpo cuore anima.
Annotazioni: la "figliata dei femminielli" è un rito di fecondità profondamente radicato nella tradizione napoletana che attribuisce a questa figura un sentore di magia e fortuna. "La finestra di fronte" di Ferzan Ozpetek è del 2003, tra gli attori un bravissimo Massimo Girotti nella sua ultima intensissima interpretazione. "L'amore molesto" è diretto da Mario Martone nel 1995. La meravigliosa strada piastrellata di giallo a cui penso è quella del primo insuperabile "Mago di Oz", diretto da Victor Fleming (e da altri grandi registi che lo hanno affiancato) nel 1939, con Judy Garland nei panni della piccola Dorothy.
Sul film "Napoli velata" di Ferzan Ozpetek
pubblicato su remweb.it il 13 gennaio 2018