L'identità di "Close"

"Close" di Lukas Dhont. Esci dalla sala con smarrimento e stordimento.
Sei smarrito perché la storia è bella delicata e dura. Un'amicizia
fortissima (close, appunto) tra due tredicenni, Léo e Rémi; due ragazzini amici,
complici, uniti dal vento che li attraversa e dai loro corpi acerbi, smarriti,
alla ricerca di orientamento. Il loro viaggio si spezza violentemente e rimani a
guardare come risale chi resta. È bella questa storia di adolescenza, identità,
crescita. E, nonostante la durezza estrema degli accadimenti, tutto è raccontato
con delicatezza assoluta.
Sei stordito perché ti accompagna di continuo una claustrofobia eccessiva.
Nonostante tutto si svolga in un paese pieno di campagna, aria, fiori, spazi
aperti, la scelta del regista belga è l'inquadratura stretta, addosso ai
personaggi. Una tecnica, una grammatica per me un po' abusata, e qui eccessiva.
Che sì, segna senz'altro la ruvidezza dolorosa della storia, ma la storia di
Rémi e Lèo è ruvida comunque, dolorosa comunque.
Dhont è il regista di "Girl", per chi l'ha visto. "Close" rimane nello
stesso spazio, fruga nell'identità queer ma, come lui stesso ha detto, esplora
soprattutto l'identità in divenire, ovunque porti. E lascia lo spettatore
libero di immaginare la forma e l'animo dei personaggi.