L'identità di "Close"

17.02.2023

"Close" di Lukas Dhont. Esci dalla sala con smarrimento e stordimento.
Sei smarrito perché la storia è bella delicata e dura. Un'amicizia fortissima (close, appunto) tra due tredicenni, Léo e Rémi; due ragazzini amici, complici, uniti dal vento che li attraversa e dai loro corpi acerbi, smarriti, alla ricerca di orientamento. Il loro viaggio si spezza violentemente e rimani a guardare come risale chi resta. È bella questa storia di adolescenza, identità, crescita. E, nonostante la durezza estrema degli accadimenti, tutto è raccontato con delicatezza assoluta.
Sei stordito perché ti accompagna di continuo una claustrofobia eccessiva. Nonostante tutto si svolga in un paese pieno di campagna, aria, fiori, spazi aperti, la scelta del regista belga è l'inquadratura stretta, addosso ai personaggi. Una tecnica, una grammatica per me un po' abusata, e qui eccessiva. Che sì, segna senz'altro la ruvidezza dolorosa della storia, ma la storia di Rémi e Lèo è ruvida comunque, dolorosa comunque.

Dhont è il regista di "Girl", per chi l'ha visto. "Close" rimane nello stesso spazio, fruga nell'identità queer ma, come lui stesso ha detto, esplora soprattutto l'identità in divenire, ovunque porti. E lascia lo spettatore libero di immaginare la forma e l'animo dei personaggi.