Otto montagne e un cielo

20.02.2023

Ho sempre avuto la necessità dello stupore. Una specie di motore silenzioso e potente messo lì per procedere davanti alle avventure narrative. Fossero parole o immagini.
Senza lo stupore (di volta in volta gioioso, triste, dolce, affannato, liquido, denso, non importa) difficilmente sono stata capace di procedere, e lo sono ancora.
Da tempo (e c'entra l'età) mi stupisco raramente, ormai quasi di nulla. Per questo cerco rifugio nei libri per me gloriosi di altre epoche e nei film del passato. Guardo indietro e frugo nella meraviglia o nel suo ricordo.
Però non rinuncio del tutto a leggere e guardare il presente, mettendo in conto l'indifferenza. Pazienza. Non guardo più bulimicamente film (c'entra sempre il motore), mi ci accosto a volte per caso, a volte con volontà, altre con sentimento. E ogni tanto intravvedo lo stupore, come un bagliore rapido e tuttavia vitale.
Per stare in questo tempo, lo stupore l'ho sfiorato a settembre quando alla Mostra ho visto "The Whale" di Darren Aronofsky (che dovrebbe uscire nelle sale a febbraio), mi ha dato un trillo con "Living" di Oliver Hermanus e "Close" di Lukas Dhont.
Non c'è nulla di persistente, però c'è uno spazio, una consistenza.
E ora, un po' di quel lampo s'è insinuato guardando "Le otto montagne" di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, con Luca Marinelli e Alessandro Borghi, bravi tutti e due.
All'origine il romanzo di Paolo Cognetti (vincitore del Premio Strega nel 2017), una storia vissuta e in qualche modo iniziata a scrivere durante l'infanzia, come dice lui.
È un bel film "Le otto montagne". Non solo perché racconta un'amicizia durata tutta la vita, ma per il modo in cui procede, per il modo in cui i due registi avanzano nel tempo e nello spazio.

Un film è fatto di tante cose, ha una grammatica scritta solo in minima parte con le parole; il resto sono tasselli visivi, una scena, tante scene, come le giri, come le metti assieme, come inizi e come concludi, come spieghi e come lasci in sospensione.
Sono uscita dalla sala che era buio e tanto freddo, e il bagliore per un po' è rimasto con me.