Otto montagne e un cielo

Ho sempre avuto la necessità dello stupore. Una specie di motore silenzioso
e potente messo lì per procedere davanti alle avventure narrative. Fossero
parole o immagini.
Senza lo stupore (di volta in volta gioioso, triste, dolce, affannato, liquido,
denso, non importa) difficilmente sono stata capace di procedere, e lo sono
ancora.
Da tempo (e c'entra l'età) mi stupisco raramente, ormai quasi di nulla. Per
questo cerco rifugio nei libri per me gloriosi di altre epoche e nei film del
passato. Guardo indietro e frugo nella meraviglia o nel suo ricordo.
Però non rinuncio del tutto a leggere e guardare il presente, mettendo in
conto l'indifferenza. Pazienza. Non guardo più bulimicamente film (c'entra
sempre il motore), mi ci accosto a volte per caso, a volte con volontà, altre
con sentimento. E ogni tanto intravvedo lo stupore, come un bagliore rapido e
tuttavia vitale.
Per stare in questo tempo, lo stupore l'ho sfiorato a settembre quando alla
Mostra ho visto "The Whale" di Darren Aronofsky (che dovrebbe uscire nelle sale
a febbraio), mi ha dato un trillo con "Living" di Oliver Hermanus e
"Close" di Lukas Dhont.
Non c'è nulla di persistente, però c'è uno spazio, una consistenza.
E ora, un po' di quel lampo s'è insinuato guardando "Le otto montagne" di
Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, con Luca Marinelli e Alessandro
Borghi, bravi tutti e due.
All'origine il romanzo di Paolo Cognetti (vincitore del Premio Strega nel
2017), una storia vissuta e in qualche modo iniziata a scrivere durante l'infanzia,
come dice lui.
È un bel film "Le otto montagne". Non solo perché racconta un'amicizia
durata tutta la vita, ma per il modo in cui procede, per il modo in cui i due
registi avanzano nel tempo e nello spazio.
Un film è fatto di tante cose, ha una grammatica scritta solo in minima parte
con le parole; il resto sono tasselli visivi, una scena, tante scene, come le
giri, come le metti assieme, come inizi e come concludi, come spieghi e come
lasci in sospensione.
Sono uscita dalla sala che era buio e tanto freddo, e il bagliore per un
po' è rimasto con me.