Il grande sentiero

Tanti anni fa ho camminato molto. Avevo bisogno di
solitudine, della compagnia di me stessa e di stare accanto a persone
sconosciute.
Viaggiare a piedi per i bipedi di oggi è un'esperienza da
calcolare con un certo criterio; un'attività da pianificare e per la quale
attuare preparazione e allenamento fisico.
Anche quando ho viaggiato a piedi (nonostante siano passati
20 anni) queste cose erano fortemente consigliate. Ma non ho pianificato
nulla, non mi sono preparata né allenata. Sono stata, sempre e solo, una buona
camminatrice generica.
Il viaggio era il Camino di Santiago di Compostela, fatto
non per devozione, non per sport, non per socializzare. L'ho fatto perché era
un viaggio lungo che mi avrebbe dato tempo per assaporare solitudine, me
stessa, persone sconosciute; e perché amo il nord della Spagna (ci ero stata
due volte viaggiando la prima in treno e autobus, l'altra in macchina).
Quella terra è una specie di elle affacciata su due lati di
Atlantico; ha il calore della cultura spagnola e la vetrosità ariosa dei paesi
del nord. Una combinazione esaltante.
Ho percorso un tratto di 500 chilometri a piedi, portando la
mia piccola casa sulle spalle: uno zaino ridotto all'osso per sopravvivere alla
fatica di portarlo; fatica che dalle spalle scende a tutta la schiena e poi giù,
alle gambe, sollecitando i punti di giuntura: ginocchia, caviglie, dita dei piedi.
Non si riesce ad immaginare in teoria quel che significa in pratica portare un
peso sulle spalle durante camminate giornaliere di 20-25 chilometri; non si può
immaginare quanto la struttura ossea e muscolare del corpo senta le onde d'urto
del peso e dei movimenti.
Poi ci si abitua. Ci vuole tempo. E per andare ci vuole il
proprio tempo. Questa è una delle prime cose che ho imparato sul Camino; quello
che mi hanno insegnato gli sconosciuti che ho incontrato e che mi ha indicato
il corpo.
Impari anche un'altra cosa. L'essenziale. L'essenziale di
tutto. Nel senso che il camminare lungo sentieri, strade, pendenze, città,
campagne, periferie ombrose, sterrate senza anima viva, paesi arroccati, tutto porta
ad apprezzare e, anzi, a vedere solo le cose veramente essenziali. Dormire l'essenziale,
mangiare quel che serve, bere quanto basta, lavarsi dopo la giornata di
cammino, curare in modo dolce ed essenziale i piedi (tutte le sere), tenere nella
piccola casa sulle spalle un solo cambio di vestiti (l'altro è quello addosso),
cambiarlo e lavarlo tutti i giorni dopo la camminata con un pezzo di sapone, in
modo semplice e leggero, lasciando asciugare al vento e riponendo poi nello
zaino; lasciare nei punti di sosta (albergue de peregrinos) oggetti non
necessari, con il pensiero che possano essere utili ad altri viaggiatori; avere
un libro, uno solo; e un taccuino con penna per annotare il mondo e i pensieri.
Questa essenzialità è la cosa più preziosa che ho portato
con me nei 21 giorni di cammino. E poi dopo, una volta tornata a casa. Non sono
stata capace di mantenerla nella vita, questa essenzialità, ma l'ho dentro e mi
torna in mente di continuo.
Come mi tornano in mente gli sconosciuti e le sconosciute
che ho incontrato, di ogni nazionalità. Con tutti e tutte ho parlato senza conoscere
alcuna lingua. Ricordo i luoghi, i paesaggi, la preziosità dell'acqua; la
generosità di chi ne aveva di più.
Ricordo un temporale inchiostro stagliato sul fondo di un
campo di grano giallo; l'ho guardato seduta sull'aia dell'albergue insieme ai
viaggiatori in sosta con me; urlava e saettava all'orizzonte e stava steso,
enorme, come fosse un film sopra uno schermo gigantesco; stavamo in silenzio,
con il vento che arrivava ad annunciarlo e ogni tanto qualcuno di noi spandeva
nell'aria un sonoro ooooohhhhh, uuuuuhhhhhh, per la meraviglia di quella
visione.
Ho iniziato a leggere i romanzi di A. B. Guthrie, pubblicati
da Mattioli 1885, curati e tradotti da Nicola Manuppelli (mi sono incamminata
sulla linea della quadrilogia: "Il grande cielo", "Il sentiero del West", "Queste
mille colline", "Dolce, dolce terra").
Cosa c'entra il Camino di Santiago? Nulla apparentemente, ma
nelle storie stese sulle terre del selvaggio west americano c'è un senso del
viaggio e della sopravvivenza a me caro e prezioso.
