Il dolce, terrificante Midwest

Qui non si salva nessuno. "Tre manifesti a Ebbing, Missouri"
è lo spaccato di un'America terrificante. Il Missouri è uno stato del profondo
Midwest, quella fascia centro-occidentale bellissima e durissima degli Stati
Uniti. Di dolce c'è il paesaggio, il verde fuori misura steso un po'
dappertutto. Poco altro. Il resto è ruvido, estremo, sguaiato, senza mezze misure.
A Ebbing i neri si bruciano, preferibilmente, in alternativa
si atterrano di botte. Gli omosessuali pure.
Anche Mildred Hayes è dura, coriacea, senza pietà. È la
madre di Angela, adolescente stuprata e uccisa, nessun colpevole dopo sette
mesi. Il fascicolo che la riguarda giace alla stazione di polizia di Ebbing,
senza che si muova un foglio.
È in questa nebbia ferma che Mildred decide. Affitta tre
spazi pubblicitari, tre enormi strutture che svettano abbandonate lungo la
strada che passa vicino casa, un tempo molto trafficata, praticamente deserta
da quando è stata costruita l'autostrada. Il luogo perfetto è il percorso lungo
il quale sua figlia è stata violentata, uccisa, bruciata. Mildred affitta gli
spazi per un anno intero e ci fa affiggere tre manifesti con tre frasi a
caratteri cubitali neri su fondo rosso. Lette in sequenza lanciano una
pesantissima accusa all'inerzia della polizia locale, in particolare allo
sceriffo Willoughby, e ricordano che Angela è stata stuprata mentre moriva.
Tutto parte da qui. I manifesti sono la miccia. Mildred
passa sulla città come un bulldozer, è una madre piena di un dolore che non può
essere superato da niente. Neppure dal fatto che, proprio Willoughby amato e
stimato capo della polizia di Ebbing, ha un tumore in fase terminale. Quando
lui cerca di convincerla a togliere i manifesti e tira in ballo la sua
malattia, Mildred ribatte: beh, a maggior ragione dovevo farlo ora, cosa volevi
che ti chiamassi in causa quando avevi già tirato le cuoia?...
Una cosa evidente da subito è la lucidità. Mildred è lucida,
il suo dolore in nessun caso e in nessun momento del film diventa una
giustificazione. E in tutto questo gli spettatori rimangono lucidi, anche
perché la durezza della storia è bilanciata perfettamente da un'ironia ruvida e
raffinata insieme.
Contro cosa combatte Mildred? L'inerzia, banalmente.
Soprattutto combatte contro la stupidità, la cattiveria, l'arretratezza di una
comunità che vive sicura di sé sul terreno duro della discriminazione razziale,
dei diritti civili mai metabolizzati, dell'abuso con tutti, tanto per stabilire
chi è il più forte. Lei è una donna presente, non subisce niente, non tollera
ipocrisia e razzismo, ma è disposta ad uccidere per sua figlia.
In un flashback - l'unico che mostra Angela viva per un
istante - vediamo la madre che era e che ancora è con l'altro suo figlio. Non è
un modello di affetto e tenerezza. La scena mostra il litigio tra le due, poco
prima che Angela esca di casa e imbocchi quella strada per l'ultima volta nella
vita. Mildred ne ha di tormenti da digerire o sputare fuori. È assente,
incostante, ruvida come la carta vetrata ed è separata da un marito che alzava
le mani. La sua famiglia è sguaiata, senza mezze misure, granitica come la
comunità intera. Solo che, al dunque, Mildred vuole giustizia.
La bellezza del film sta soprattutto nella capacità del
regista e sceneggiatore Martin McDonagh di scaraventare anche lei, che pure ha
tutte le ragioni del mondo, al confine nebbioso e perfido tra bene e male.
Un personaggio difficile, pesante, prende tutta la scena ed
è mirabilmente interpretato da una monumentale Frances McDormand.
Tutti sono efficaci in questa storia. Di sicuro l'agente
Jason Dixon, prototipo del poliziotto che mena randellate senza scrupolo,
dichiara il suo odio per neri, omosessuali e per tutti quelli che non si
adeguano e lo mette in pratica. E ancora lo sceriffo Willoughby, anima sfumata
e a mezza via.
Si oppone a tutto, a Mildred che l'ha chiamato in causa, ma
anche al suo agente. Sarà lui ad accorciare le distanze tra i personaggi, a
mettere in luce i pochi tratti chiari di ognuno, perfettamente complementari ai
loro tanti lati scuri.
Perché, l'ho detto e lo ripeto con convinzione, qui non si
salva nessuno.
Annotazioni: "Tre manifesti a Ebbing, Missouri" ha appena vinto quattro Golden Globe per: miglior film drammatico, migliore attrice protagonista a Frances McDormand, miglior attore non protagonista a Sam Rockwell (l'agente Dixon) e migliore sceneggiatura a Martin McDonagh. Premio alla sceneggiatura che ha vinto anche all'ultima Mostra del Cinema di Venezia.
Sul film "Tre manifesti a Ebbing, Missouri" di Martin
McDonagh
pubblicato su remweb.it il 19 gennaio 2018