Domani tra ironia e perplessità

10.12.2023

Ho visto "C'è ancora domani" di Paola Cortellesi ormai da un po'. Sono andata al cinema perché volevo capire l'onda che il film aveva sollevato. Ad oggi ha superato i 28 milioni di incasso e veleggia verso il giro di boa dei 30, con quasi 4 milioni di spettatori.
Non avevo una vera propensione per questo film, ma il brusio intorno e la grande nuvola di pubblico sollevata, mi hanno spinto ad andare.
Spettacolo pomeridiano infrasettimanale. Orario frequentato ma tranquillo.

L'aria è quella di un classico neorealista. Roma tinta di un bianco e nero sfumato nei grigi, ambienti dimessi, vite e case rappezzate, periferia, palazzi squassati dalla guerra, umanità popolana, donne all'uscio di casa, bambini nei cortili, mercati rionali, file per pane e pasta.
Paola Cortellesi tira sullo schermo uno sfondo perfetto, e lei è perfetta nella parte di Delia, donna, moglie, madre, tuttofare, tutto sotto controllo, anche le botte che il marito Ivano le somministra quasi quotidianamente.
Nonostante tutto, Delia è una donna che sorride, ha un carattere forte, cerca sempre una via di fuga per fare a modo suo, si ingegna in mille lavoretti: rammenda biancheria, confeziona abiti, assembla parapioggia in una piccola ombrelleria, fa iniezioni a domicilio. Delle quattro lire che racimola, mezza se la infila nel reggipetto, a casa ha un gruzzolo nascosto, è per l'abito da sposa della figlia, ma Ivano non ne sa nulla, e ci mancherebbe, sarebbero botte a sfinimento.
Ha un passato Delia, un amore che incrocia da una certa distanza quando rimbalza da un'occupazione all'altra; un amore lasciato in sospeso e ricambiato.
Il bianco e nero tiene unito tutto e dà la possibilità alla regista di mettere spessore in questa storia in pieno 1946, alle soglie del primo voto alle donne, quello del 2 giugno, quando gli italiani eleggono i deputati e le deputate dell'Assemblea Costituente e decidono sul referendum per monarchia o repubblica.
L'atmosfera è carica di significati. La storia è sassosa, indigesta, ma il film scivola sui declivi dell'ironia, di una messa in scena a tratti fantastica, del dramma che a modo suo mostra il comico piazzato all'altro capo del tragico.
So bene che il tema è forte, fortissimo, attuale, urgente, e Paola Cortellesi riesce ad affrontarlo anche con lievità. C'è la violenza sulle donne (Delia è con evidenza un possesso di Ivano e dell'intera famiglia), c'è l'emancipazione mostrata attraverso un evento storico fondamentale: il suffragio universale in Italia, il passaggio da un potere decisionale solo maschile a un potere trasferito di diritto (conquistato duramente) anche alle donne: tutte le donne. E se Delia subisce l'indicibile, si adatta a tutto, è oggetto, è vittima, è solitudine, è rimpianto, è però anche una donna che conquista il diritto fondamentale di scegliere.

Eppure, nel passare dei giorni dopo aver visto il film, mi ha avvinto la perplessità. Di questa lunga narrazione (tutta concentrata sulla protagonista) mi restano poche cose intense e diversi dubbi.
Mi restano le canzoncine d'amore anni '40 messe come contrappunto alle scene drammatiche (botte comprese): una scelta molto bella, carica di ironia e follia; mi resta la prima menata di Ivano su Delia, in cucina, infilata negli occhi degli spettatori come una metafora visiva: i due, nel corpo a corpo, ballano, il sangue esce in rivoli e si riassorbe, i lividi appaiono e svaniscono, una sottolineatura brillante dell'occultamento (le botte sono un fatto interno, della casa, e interiore, dell'animo).
Trovo il resto ridondante. L'andirivieni di Delia per la città (una Roma accennata, dipinta quasi): l'esitazione sulla sua quotidianità è eccessiva e, anche se Paola Cortellesi la mette in scena a modo suo (con humor da palcoscenico) e funziona, il film si avvita su di lei e a patire sono tutti gli altri. Ivano (Valerio Mastandrea) è un marito/padre/padrone animato da movimenti insicuri, a tratti un po' impacciati. Marcella, la figlia in età da matrimonio, padroneggia una consapevolezza delle ingiustizie e dei diritti femminili che svanisce di fronte a un fidanzato che sembra il calco del padre. E non si capisce perché una ragazza tanto determinata a difendere Delia, non intravveda la propria sorte.
Infine, la coralità che chiude il film scivola in una retorica di massa che in poche scene abbatte e spazza via la fatica fatta fin lì, la fatica delle femmine in un mondo dominato dai maschi.
Quella fatica l'avrei lasciata, ben visibile e ben piazzata sullo schermo.
Perché nella conquista dei diritti, alle donne non è bastato sigillare la scheda elettorale con un colpo di saliva, dopo aver pulito il rossetto dalle labbra con un colpo di polso.