A Varsavia c’era uno zoo e c’è ancora

La storia è di quelle che afferrano il cuore e non te lo
mollano neanche per un attimo. Guardare o non guardare "La signora dello zoo di
Varsavia". Il dubbio era grande, perché lo so come va.
Un film che racconta un frammento di Germania nazista, di
Olocausto, di Varsavia in quegli anni, mi sbatacchia come un relitto sulla
battigia. E inerme mi lascio sfracellare.
Ci sono film, come "Schindler's List", che riescono a
raccontare squarci di quel maelstrom che fu la guerra tra il 1939 e il 1945 con
crudezza, profondità e delicatezza insieme. Credo di averlo visto quattro
cinque volte almeno e sempre ho pianto a rotta di collo. Sarà la storia
potente, sarà il bianco e nero che ti buca lo sguardo e va dentro come una
freccia, sarà la musica che avvolge il cuore e lo straccia come un foglio di
giornale. Comunque sia, ogni visione mi sembra nuova e mi pare di non capire
mai abbastanza. Non so se si tratta di autolesionismo, ma sbatto testardamente
le corna come un ariete che vuole sfondare un recinto. E possiamo anche
portarci più in qua.
Penso a "Il pianista" e a "Train de vie". O più indietro con
"Kapò" e con un film celebrativo ma follemente bello ed efficace come "Vincitori
e vinti". Anche a guardare questi c'è qualcosa di spinoso, un'insistenza che
preme dentro e a cui non ci si può sottrarre. Almeno io.
I film si guardano per diletto, per sublimare la realtà, per
viaggiare, dormire, sorridere, piangere, mangiare popcorn. E si guardano per
vedere la realtà con gli occhi di qualcun altro. È sempre un azzardo. Ci vuole
una mano sapiente o geniale, ci vuole mestiere o un caso felice che guidi il
regista, gli attori e la storia stessa.
A Varsavia c'è uno zoo, i coniugi Jan e Antonina Żabiński
hanno cominciato a dirigerlo nel 1929. Animali di tutte le specie lo popolano e
attraversarlo è un vero tuffo nel regno della natura. Quando la Germania di
Hitler invade la Polonia nel 1939, lo zoo viene bombardato, molti animali muoiono
e la meraviglia chiude.
Dopo un po' apre il ghetto. È lì a pochi passi. La grande
gabbia di Varsavia tiene stipati migliaia di ebrei. Gli Żabiński non sono
ebrei, molti loro amici sì. Ed è per salvarne alcuni che cominciano a farne
uscire tanti dal ghetto. Uno a uno col contagocce. Alla fine gli ebrei messi in
salvo sono quasi trecento. Li nascondono nello zoo, molti ci restano per anni,
altri solo pochi giorni ma tutti - tranne due - sono sopravvissuti al
maelstrom. Così come sono sopravvissuti Jan, Antonina e i loro due figli. E i
coniugi Żabiński sono poi stati riconosciuti "Giusti tra le nazioni" dallo
Stato d'Israele.
Anche lo zoo, schiantato, abbattuto, bombardato, privato
della vita e della magia - "La casa sotto la folle stella" veniva chiamata la
villa che troneggiava al centro del parco - anche lui è sopravvissuto, e oggi è
ancora in funzione. È tutto vero.
A tenerti davanti allo schermo è la storia, ma non ci sono
mani particolarmente felici. Non lo è quella di Niki Caro, la regista neozelandese
che lo dirige. E neppure quella di Jessica Chastain, brava per carità, ma molto
Hollywood, un po' troppo.
Capiamoci però, il sapore hollywoodiano non è esattamente
una colpa, anche Schindler's List ha questo retrogusto in abbondanza. Solo che
lì di mani sapienti ce ne sono un bel po'. C'è potenza. Oltre a quella della
storia, c'è la potenza di un vero alfabeto e di una grammatica che conducono la
narrazione, cappottino rosso compreso. E tutto insieme produce un'alchimia che
ti tiene lì, incapace di sottrarti alla luce, ai dettagli, all'enormità di quel
che è stato.
Questa esatta sensazione, restituita da varie angolazioni,
la ritrovo ne Il pianista, in Train de vie, Kapò e Vincitori e vinti. Qualcosa
che buca, perfora da parte a parte, scuote e sveglia, ti tiene vigile e
impotente insieme. Qualcosa che rende impossibile dimenticare, impossibile
andare oltre.
La signora dello zoo di Varsavia no. Anche se il cuore resta
stretto in un pugno.
Annotazioni: solo qualche parola sui film citati. "Schindler's List" è di Steven Spielberg, anno 1993, valanghe di premi. "Il pianista" è diretto da Roman Polański nel 2002, tra i tanti premi vinti anche una Palma d'oro a Cannes. "Train de vie" del regista rumeno Radu Mihăileanu è del 1998, ha portato a casa, tra gli altri, il David di Donatello. "Kapò" per la regia di Gillo Pontecorvo è del 1959 e ha ricevuto la nomination all'Oscar. Infine, "Vincitori e vinti" di Stanley Kramer è del 1961, racconta il processo di Norimberga, ha un cast stellare che toglie il fiato e ha vinto premi un po' dappertutto.
Sul film "La signora dello zoo di Varsavia" di Niki Caro
pubblicato su remweb.it il 23 novembre 2017